giovedì 5 maggio 2016

Lost in the wor(l)d



Ecco come mi sento, perso nelle parole. Nel mondo, nelle lettere. Semplicemente un anima errante, che mette la parola fine ad un capitolo fatto di rabbia e cerca un nuovo inizio.
Ci vuole talento con le parole, talento nelle fotografie, talento con le persone, ma c'è un ambito in cui il talento è imprescindibile: ci vuole talento per vivere.

Vivere è ben diverso dal sopravvivere, avere una casa, un lavoro, una famiglia e magari un cane, il weekend in montagna e le tasse da pagare, il caffè al bar e la solita gazzetta rosa dove leggere i risultati del calcio. No, non è vivere. Questo è accontentarsi, e lo vedo nello sguardo di un sempre maggior numero di persone. Hanno tutto, non hanno nulla. Non hanno capito nulla, non hanno il fuoco dentro e se lo hanno avuto ora lo hanno spento.

È questo ciò che intendo, un fuoco che ti ustiona, che ti fà torcere le budella. Che ti fà gridare, che ti fà aprire gli occhi per la prima volta, che ti fà scoprire nuovamente ogni angolo di mondo, che ti mostra le persone nude.
Dei raggi X che scandagliano l'anima di chi hai di fronte. Mi è successo anche oggi, parlare con il solito ragazzo fuori da un centro commerciale che cercava di vendermi l'abbonamento ai children. Un breve scambio di batture, due o tre parole e... il panico. Era impanicato dal modo in cui ho risposto, eppure mi sembrava di aver detto banalità, quello che solitamente si risponde. Mi sono quasi scusato per il modo in cui si è zittito, ho salutato e girato i tacchi, avevo un leggero sorriso però... Raggiungo la mia bici, ci salgo e sono colto da rimorso, vorrei quasi tornare indietro e chiedere scusa, non volevo lasciare quel ragazzo così male. Ma accidenti, ho detto solo cose giuste, era come se gli avessi sparato, come se avessi preso le certezze di quel capellone e le avessi calpestate. L'ho praticamente asfaltato... Guardando attraverso la porta l'ho visto sedersi con aria perplessa, il suo amico gli ha fatto cenno ma non l'ho visto alzarsi, io ho ripreso la mia strada.

Forse non credeva in quello che diceva? Forse erano solo parole preparate per abbindolare? Non sò, così come non sò se sorridere della cosa o sentirmi in colpa.

Dicevo delle parole, tutto iniziava così, ed effettivamente scrivere è sempre stato nelle mie corde. Sono passati anni da quando si sono palesati a me i "soliti personaggi in cerca di autore". Sembra una cazzata, non credi esista nulla del genere, è una favola, licenza creativa...
No.
No purtroppo, anche se i miei sono come demoni, anime erranti. Si palesano nei miei pensieri e raccontano la loro storia, fanno in modo che io la metta nero su bianco. Tutto prende una piega inaspettata, diventa grottesco a volte... E io posso vendicarmi, è mia la mano che racconterà tutto e posso anche ucciderli tutti in qualunque momento. Lo sanno, e questo li porta a far durare la storia il più a lungo possibile, a renderla bellissima affinchè io non mi stanchi mai di scrivere. Non vogliono morire, chi lo vuole?

È facile scrivere in questo modo, difficile è invece ciò che dovrò fare. Considero questi brani un buon allenamento, un gioco in cui mescolo fantasia e realtà, in cui cerco il protagonista nelle immagini. E poi? E poi mi faccio raccontare ciò che vive... Ma se dovessi diventare io il protagonista? Come potrei raccontare di me in terza persona? Come minimo avrei una crisi d'identità... Sarà dura, e quindi ecco quello che dicevo, fine del capitolo rabbioso.
...perchè si è sempre un pò arrabbiati. Dicono che nulla si crea, nulla si distrugge, la mia rabbia è mutata in profano fuoco.
Ha il posto che gli merita.
Non può tradirmi proprio ora.


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